All’interno della splendida cornice di Cividale del Friuli, ospiti di Mittelyoung 2023, Sabato 20 maggio 2023 Rete Critica ha potuto confrontarsi mettendo in relazione i suoi sguardi da tutta Italia, con la solita varietà di sensibilità e progettualità che la caratterizza.
Sono state segnalate 12 realtà molto differenti tra di loro. C’è la periferia under 35 rappresentata da tre progetti: Usine Baug, collettivo che dal 2018 si è caratterizzato da un teatro a tensione civile in cui ogni passaggio creativo e amministrativo prevede in consenso unanime del gruppo. BTTF Festival, gruppo milanese a direzione under 30 che cerca di attrarre i giovani della periferia mettendo in scena le loro problematiche generazionali. Arti fragili è invece una compagnia triestina che ha sviluppato una intensa attività laboratoriale sul territorio, elaborando le proprie drammaturgie partendo da un dialogo orizzontale con la cittadinanza.
Come sguardo sul circo contemporaneo è stato segnalato Quattrox4, che nel loro spazio nel quartiere di Precotto a Milano insegnano a bambini e adulti le arti circensi oltre a tenere due festival di cui uno in particolare (“Fuori Asse Focus”) si occupa proprio della promulgazione del circo contemporaneo tramite anche la partecipazione di critici in dialogo con gli spettatori. A Reggio Calabria invece viene segnalato il “Primavera MedFest”, la prima vera proposta di teatro contemporaneo per i ragazzi di Reggio, composto da vari laboratori non solo di teatro e con una forte propensione ecologista. Sempre tra i festival c’è il “GeA” (Gioiosa et amorosa) giovane realtà trevigiana che sta cercando di rielaborare l’offerta teatrale contemporanea in città valorizzando le realtà professionali, le loro drammaturgie originali sono legate al rapporto quotidiano con il territorio tramite dei laboratori creativi.
Sempre nell’ambito delle relazioni con la cittadinanza nasce nel 2016 la compagnia lombarda Domesticalchimia, con un vero e proprio teatro-inchiesta che si avvale dei temi che emergono dal quotidiano. Il quotidiano pervade anche le drammaturgie di Farmacia Zooè, progetto che a sede a Mestre dal 2006 dove gestisce lo Spazio Farma, con uno stile visivo caratterizzato da set minimali e videoproiezioni e la centralità del corpo. Sui corpi, ma in senso decisamente plurale, ragiona anche il Teatro delle bambole, compagnia con sede a Napoli che si confrontano con a grande tradizione delle arti performative prendendo fortemente ispirazione dal “Teatro delle Orge e dei Misteri” di Hermann Nitsch.
Un altro progetto che porta la cifra ecologista è sicuramente Fabbrica dello zucchero, spazio multidisciplinare sul contemporaneo a Rovigo che organizza il festival “Tensioni”, incentrato per ogni edizione nel ricercare temi che emergono dalle fratture del contemporaneo. Nel mondo più “sotterraneo” sono state segnalate due realtà molto differenti tra loro: Chiara Verzola, attrice e autrice dalla formazione musicale applicata alle arti performative, che sperimenta da almeno 10 anni i confini tra musica e teatro, e Teatro della Contraddizione, sede storica di tanto teatro sperimentale italiano a Milano, sopravvissuto alla pandemia grazie unicamente al supporto del territorio, dimostrando che sebbene i metodi da piccola realtà underground, abbia creato un interesse attorno a sé che non ristagna nella nostalgia.
All’incontro hanno partecipato Roberto Canziani, Elena Scolari, Simone Pacini, Giambattista Marchetto, Alice Strazzi, Matteo Valentini e Giuseppe Dilorenzo per Rete Critica, il direttore di Mittelyoung Giacomo Pedini oltre ad alcuni operatori del Friuli-Venezia Giulia e dello staff del festival.
Il 20 maggio (ore 14/17) a Cividale del Friuli, in occasione di Mittelyoung“il festival più under 30 d’Europa” si terrà la seconda edizione di Panorami Teatrali a cura di Rete Critica. L’incontro è riservato agli operatori. Se vuoi partecipare scrivi a Rete Critica.
Mappatura e scouting sono azioni costanti di Rete Critica. I tre anni trascorsi hanno indebolito le pratiche di osservazione in un territorio geograficamente complesso come l’Italia. Panorami Teatrali intende ampliare la visibilità di alcuni progetti virtuosi presso un pubblico allargato di spettatori e operatori. La testimonianza dei membri della rete e brevi showcase costituiranno una sintetica carta d’identità collettiva, dalla quale potranno scaturire riflessioni attorno a nuovi progetti tesi verso il futuro.
L’evento è stato ideato per assecondare l’esigenza, più volte emersa, di una diffusione capillare della conoscenza di compagnie e artisti che operano in aree geografiche meno accessibili per alcuni membri della Rete. L’idea è di fare emergere una mappatura nazionale che tenga conto, per quanto possibile, di quanto accade su tutto il territorio italiano.
Panorami Teatrali non costituisce in alcun modo una fase di votazione del Premio Rete Critica e non è a esso propedeutica. Piuttosto, si è pensato di approfittare di un momento di condivisione e di riflessione in presenza anche per dare una visibilità, innanzitutto interna alla rete, a realtà e progetti meritevoli che godono solitamente di minor attenzione.
12 le realtà che saranno presentate dalla Rete alla Rete: si va dal Teatro della Contraddizione di Milano all’attrice Chiara Verzola, dalle compagnie Teatro delle Bambole di Bari, Farmacia Zoo: è, FDZ La Fabbrica dello Zucchero di Rovigo, ArtiFragili, Domesticaalchimia, Usine Baug e QuattroxQuattro fino ai festival Ragazzi Medfest di Reggio Calabria, BTTF Festival, Gioiosa et amorosa di Treviso.
Nella sera del 6 novembre, al Teatro Bellini a Napoli, la giuria di Rete Critica 2022 – il gruppo che riunisce testate, siti, portali e blog di cultura teatrale online – ha annunciato i vincitori del Premio.
Da 11 edizioni, il riconoscimento viene annualmente assegnato all’artista, compagnia o progettualità che meglio incarnano lo spirito di innovazione e la capacità di progetto nella scena contemporanea in Italia.
i finalisti di Rete Critica 2022
Individuati tra una rosa di 13 nomi, selezionati un mese fa, solo tre erano i finalisti di questa edizione 2022 ospitata a Napoli: Carrozzerie n.o.t., Niccolò Fettarappa Sandri, e Teatro dei Borgia.
Domenica sera, in una seduta di intenso dibattito e valutazioni, giornalisti e blogger di Rete Critica 2022, hanno scelto di premiare :
La città dei miti del Teatro dei Borgia
La motivazione è la seguente : Per la maturità e la complessità di un progetto in grado di entrare nella vita, nelle sue pieghe più complesse e dolorose, in un lavoro di scrittura e attorialità che attualizza il senso del mito.
Da più di due anni, con un lavoro sui personaggi di Medea, Eracle e Filottete, La città dei miti utilizza il teatro, in particolare il mito classico, come leva per restituire dignità all’emarginazione e al disagio contemporanei, in tre spaccati potenti, senza letterarietà e retorica.
In ricordo di Vincenzo Del Gaudio
Questa edizione del Premio Rete Critica 2022 è stata dedicata a Vincenzo Del Gaudio, studioso di Digital e Performing Arts, docente all’Università di Salerno e nostro collega, improvvisamente scomparso proprio nei due giorni del Premio.
Premio Rete Critica 2022 al Teatro Bellini di Napoli: in finale Teatro dei Borgia, Carrozzerie | n.o.t e Niccolò Fettarappa Sandri
Si terrà il 5 e il 6 novembre 2022, presso il Teatro Bellini di Napoli, la finale della undicesima edizione del Premio Rete Critica (nel 2020 è stata organizzata una versione speciale on line): due giorni di spettacoli e incontri ideati da Rete Critica e organizzati grazie all’ospitalità del teatro di rilevante interesse culturale, che aprirà le proprie porte alla finale annuale, ricevendo così il testimone dal Teatro Stabile del Veneto. Il Premio Rete Critica viene assegnato dal 2011 e quest’anno, prima di arrivare alla finale di Napoli, i componenti del gruppo si sono riuniti in un inedito appuntamento di medio termine svoltosi a luglio a Cividale del Friuli durante l’ultima edizione di Mittelfest, un incontro aperto anche al pubblico per conoscere alcuni progetti e artisti presentati dai critici della rete e per riflettere, più in generale, sullo stato di salute della critica in Italia.
La volontà della Rete è quella di consolidare sempre di più un premio che sia un momento di incontro tra la critica, gli artisti e il pubblico, nella consapevolezza che le giornate finali debbano essere l’esito di un processo di ascolto e scouting attivo tutto l’anno. Nei primi giorni di settembre le redazioni e i singoli critici che compongono Rete Critica hanno votato per il primo turno, creando così una mappatura di proposte variegata per geografie, intenti, approcci e formati. I progetti che hanno ottenuto almeno due voti, e che in base al regolamento sono passati alla seconda fase, sono stati (in ordine alfabetico): Carrozzerie | n.o.t, Chille de Balanza, Collettivo Mine, Collettivo Onar, Controcanto Collettivo, Dance Well – movement research for Parkinson, Malmadur, Nessuno Resti Fuori Festival, Niccolò Fettarappa Sandri, Spettatore Professionista, Teatro19, Teatro dei Borgia, Tovaglia a Quadri. Nel passaggio successivo, la Rete ha scelto tra questi tredici progetti, andando così a creare la selezione per le giornate finali napoletane. Teatro dei Borgia, Carrozzerie | n.o.t e Niccolò Fettarappa Sandri sono i tre finalisti che il 5 e il 6 novembre presenteranno i propri progetti di fronte alla giuria di critici e giornalisti teatrali che decreterà poi il soggetto vincitore.
La prima giornata del Premio prenderà il via alle ore 16 con un talk tra Rete Critica, la Direzione Artistica del Teatro Bellini, la Bellini Teatro Factory e gli operatori teatrali campani, cui seguirà alle 21 lo spettacolo Ardore al Piccolo Bellini, inserito nella programmazione del teatro diretto da Roberta, Gabriele e Daniele Russo.
Domenica 6 novembre alle ore 10, in un appuntamento aperto al pubblico, Carrozzerie | n.o.t, centro culturale diretto da Maura Teofili e Francesco Montagna, presenterà la storia e le attività dello spazio multidisciplinare romano che pone come cardine della propria direzione la creazione di nuove progettualità legate alla danza, al teatro e alle arti performative, scegliendo, come vocazione, l’accoglienza di percorsi artistici che possano trovare un tempo lento, coraggioso e lungimirante per maturare un’idea anche all‘interno di una realtà urbana complessa come Roma.
Alle ore 12 Niccolò Fettarappa Sandri, porta in scena Apocalisse Tascabile, con lo stesso Fettarappa Sandri e Lorenzo Guerrieri. Un atto unico eroicomico che con stravaganza teologica ricompone l’infelice mosaico di una città decadente e putrefatta, specchio di una defunta condizione umana. Lo spettacolo, prodotto da Sardegna Teatro, tratta della fine del mondo vista da svariate prospettive, tra le quali preponderante è quella di due giovani “scartati”, liquidati e messi all’angolo perché inutili. La fine del mondo è allora per loro quasi un’occasione di vendetta, una rivincita presa sull’indifferenza subìta. Il cambiamento è incarnato dall’annuncio profetico di questi due smaliziati apostoli under 30, che portano sulla scena con autoironia la rabbia di una generazione esclusa, così giovane eppure già così defunta.
Il terzo finalista del Premio Rete Critica, Teatro dei Borgia, presenterà alle ore 15, presso la Scuola di lingua e cultura italiana – Comunità di Sant’Egidio in via San Nicola a Nilo, lo spettacolo Eracle, l’invisibile, regia di Gianpiero Borgia, secondo capitolo della trilogia La Città dei Miti: un’azione d’arte politica verso l’umanità dimenticata – vittime di tratta, senzatetto e anziani con patologie neurodegenerative – che attraversa la città e accompagna gli spettatori nei luoghi dell’emarginazione, illuminando angoli del panorama urbano attraverso il cono di luce del Mito. Eracle, l’invisibile, dalla tragedia di Euripide, racconta il percorso parossistico dell’Essere Umano Economico, ridotto esclusivamente alla sua funzione economica. Accompagnati dalla scrittura di Fabrizio Sinisi, Teatro dei Borgia e Christian Di Domenico si sono interrogati sulla vicenda dell’eroe classico, creando un parallelismo con una figura iconica della società contemporanea: il forgotten man, il marginalizzato, il senzatetto. Una produzione di Teatro dei Borgia, in co-produzione con CTB (Centro Teatrale Bresciano) e Teatro Stabile del Friuli VeneziaGiulia.
La giornata continuerà alle 18 con lo spettacolo-evento programmato dal Teatro Bellini La Cupa di e con Mimmo Borrelli, concludendosi alle ore 22 con la proclamazione del vincitore del Premio Rete Critica 2022.
Per info e prenotazioni: botteghino@teatrobellini.it – Tel. 081.5499688
PROGRAMMA FINALE PREMIO RETE CRITICA 2022
SABATO 5 NOVEMBRE
H.16.00 incontro Rete Critica/Factory/operatori teatrali Napoli
21.00 Ardore (Programmazione del Teatro Bellini – Piccolo Bellini)
DOMENICA 6 NOVEMBRE
H.10.00 Carrozzerie | n.o.t (Progetto in finale Rete Critica 2022)
H.12.00 Fettarappa Sandri – Apocalisse tascabile (Progetto in finale Rete Critica 2022)
15.00 Teatro dei Borgia – Eracle, l’Invisibile (Progetto in finale Rete Critica 2022)
18.00 La Cupa (Programmazione del Teatro Bellini)
22.00 premiazione Rete Critica 2022
CREDITI SPETTACOLI
Finalisti Premio Rete Critica 2022:
La Città dei Miti – Teatro Dei Borgia
progetto di Elena Cotugno e Gianpiero Alighiero Borgia
testo Fabrizio Sinisi
arte drammatica e ricerca sul campo Elena Cotugno, Christian Di Domenico, Daniele Nuccetelli
ideazione e regia Gianpiero Alighiero Borgia
produzione Teatro dei Borgia
in co-produzione con CTB (Centro Teatrale Bresciano) e Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
con il sostegno di Fondazione Vincenzo Casillo
durata dell’intera Trilogia: 3 ore e 30 minuti circa
Eracle, l’Invisibile
da Euripide
con Christian Di Domenico
testo di Fabrizio Sinisi e Christian Di Domenico
consulenza sociologica Domenico Bizzarro
allestimento spazio scenico Filippo Sarcinelli
costumi Giuseppe Avallone e Elena Cotugno
ideazione e regia Gianpiero Alighiero Borgia
durata 65 minuti
Apocalisse Tascabile
di Niccolò Fettarappa Sandri
con Lorenzo Guerrieri, Niccolò Fettarappa Sandri
Produzione Sardegna Teatro
con il sostegno di Carrozzerie | n.o.t
Nel cartellone del Teatro Bellini:
Ardore Il Matrimonio tra il Teatro e la Vita
da un’idea di Annalisa D’Amato
drammaturgia Annalisa D’Amato, Elvira Buonocore, Maria Chiara Montella, Marta Polidoro
con Mario Ascione, Elvira Buonocore, Francesco Cafiero, Alessandra Cocorullo, CarloDi Maro, Maria Fiore, Francesco Gentile, Rita Lamberti, Maria Chiara Montella, Raffaele Piscitelli, Marta Polidoro, Riccardo Radice, Stefania Remino, Giuseppe Romano, Alessia Santalucia, Gianluca Vesce
regia Annalisa D’Amato
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
con il sostegno di puntozerovaleriaapicella
scene Lucia Imperato
costumi Giuseppe Avallone
disegno luci Cesare Accetta
La Cupa Fabbula di un omo che divinne un albero
versi, canti, drammaturgia e regia Mimmo Borrelli
con Maurizio Azzurro, Dario Barbato, Mimmo Borrelli, Gaetano Colella, Veronica D’Elia, Rossella De Martino, Renato De Simone, Gennaro Di Colandrea, Paolo Fabozzo, Enzo Gaito, Geremia Longobardo, Stefano Miglio, Roberta Misticone scene Luigi Ferrigno
costumi Enzo Pirozzi
disegno luci Cesare Accetta
musiche, ambientazioni sonore composte ed eseguite dal vivo da Antonio Della Ragione
foto di scena Marco Ghidelli
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
durata 180 minuti
Il comunicato con i nomi dei finalisti per il Premio Rete Critica 2022
Teatro dei Borgia, Carrozzerie Not e Niccolò Fettarappa Sandri sono i tre finalisti di Rete Critica, il premio annuale assegnato dai siti e i blog di informazione e di critica teatrale italiani.
La finale di Rete Critica si terrà al Teatro Bellini di Napoli il 5 e 6 novembre prossimi. I tre finalisti presenteranno i propri progetti davanti alla giuria, che al termine delle due giornate decreterà il vincitore. Gli appuntamenti saranno anche aperti al pubblico del Bellini, il teatro di rilevante interesse culturale diretto da Daniele e Gabriele Russo, che da quest’anno accoglie il Premio Rete Critica (negli anni precedenti le finali si erano svolte a Padova, negli spazi del Teatro Stabile del Veneto).
Il Premio Rete Critica viene assegnato dal 2011. Quest’anno, prima di arrivare alla finale di Napoli, i componenti del gruppo si sono riuniti in un inedito appuntamento di medio termine che si è svolto a fine luglio a Cividale durante l’ultima edizione del Mittelfest: si è trattato di una due giorni per conoscere alcuni dei progetti e artisti presentati dai critici della rete presenti e per riflettere sullo stato dell’arte della critica in Italia.
Nei primi giorni di settembre le redazioni e i singoli critici che fanno parte di Rete Critica hanno votato per il primo turno, creando così una mappatura di proposte variegata per geografie, intenti, approcci e formati. I progetti che avevano avuto almeno due voti, e che in base al regolamento sono passati alla seconda fase, erano (in ordine alfabetico) Carrozzerie Not, Chille de Balanza, Collettivo Mine, Collettivo Onar, Controcanto Collettivo, Dance Well – movement research for Parkinson, Malmadur, Nessuno Resti Fuori Festival, Niccolò Fettarappa Sandri, Spettatoreprofessionista, Teatro 19, Teatro dei Borgia, Tovaglia a Quadri.
Nel passaggio successivo, gli aderenti a Rete Critica hanno scelto tra questi tredici progetti esprimendo tre preferenze e andando così a creare la line up per le giornate finali napoletane.
Come ogni anno si sono svolte le votazioni per il primo turno di Rete Critica, il premio che dal 2011 raccoglie in una struttura informale i siti e le riviste di informazione e di critica teatrale.
Quest’anno ci sono due importanti novità: un appuntamento di medio termine che si è svolto a fine luglio a Cividale durante l’ultima edizione del Mittelfest (due giorni per conoscere alcuni progetti/artisti presentati dai critici della rete presenti e per riflettere sullo stato dell’arte della critica in Italia) e la finale che si sposta dall’abituale location di Padova (negli spazi del Teatro Stabile del Veneto) al Teatro Bellini di Napoli. Il Teatro di rilevante interesse culturale, diretto da Daniele e Gabriele Russo, ha infatti abbracciato il progetto di Rete Critica e darà la possibilità ai soggetti finalisti di mostrarsi al pubblico e alla rete.
Nei primi giorni di settembre le redazioni e i singoli critici che fanno parte di RC hanno votato per il primo turno creando così una mappatura di proposte variegata per geografie, intenti, approcci e formati.
Nel passaggio successivo, gli aderenti a rete critica sceglieranno tra questi 13 progetti esprimendo 3 preferenze e andando così a creare la line up per le giornate napoletane.
I progetti che hanno avuto almeno due voti sono (in ordine alfabetico):
È la Compagnia del Teatro dell’Argine la vincitrice dell’edizione 2021 del Premio Rete Critica, il concorso organizzato dai critici del web che il 3 e 4 dicembre è tornato al Teatro Verdi di Padova, per festeggiare la X edizione. Politico Poetico, il progetto complessivo della Compagnia che ha portato a Padova il percorso immersivo Il Labirinto, ha toccato la giuria:
Per la capacità di creare una rete organizzativa e percorsi complessi e ad ampio raggio, in comunicazione e collaborazione con le istituzioni pubbliche, che fa del teatro (e delle sue possibili trasformazioni digitali) uno strumento politico e sociale in grado di intervenire nel tessuto cittadino; con uno specifico evidente in uno dei più fragili momenti della vita, l’adolescenza.
Dopo aver ospitato con successo le ultime tre edizioni della finale dal vivo del Premio Rete Critica, il Teatro Stabile del Veneto ha rinnovato anche per questa stagione la collaborazione con la Rete dei migliori blog italiani.
Nel corso della due giorni si sono alternate visioni e sguardi teatrali diversi e complementari, capaci di costruire un quadro particolarmente articolato. In questi ultimi anni di incertezza la Rete si è interrogata sul proprio ruolo, iniziando una mappatura dei progetti che abbiano saputo rappresentare e incarnare il cambiamento che stiamo vivendo, guardando verso il futuro per superare una fase difficile per il settore culturale. Il Premio quindi è tornato dal vivo per premiare i progetti e percorsi – artistici, progettuali, organizzativi – che abbiano messo al centro la ricostruzione di una comunità culturale, sociale e teatrale in un tempo in cui le relazioni e le opportunità per i lavoratori dello spettacolo sono state messe a dura prova.
Infatti oltre al Teatro dell’Argine in finale sul palco del Ridotto di Padova sono passati Kepler–452 con lo spettacolo Gli Altri. Indagine sui nuovissimi mostri, i Kanterstrasse con Promessi Sposi. Providence providence providence, e Residenze Digitali.
In occasione della decima edizione del Premio Rete Critica è stato proiettato, per la prima volta in presenza, Rete Critica 9 3/4, lo short-doc sulle prime dieci edizioni, a cura di Simone Pacini, scritto e diretto da Andrea Esposito. Un’occasione per ripercorrere la storia e l’origine del Premio fin dalla sua prima edizione attraverso le immagini e le testimonianze dei vincitori e di coloro che hanno animato questo appuntamento. Nel documentario si trovano gli interventi di Oliviero Ponte di Pino, Massimo Ongaro e di artisti, compagnie e progetti vincitori: citiamo tra gli altri Gianni Farina di Menoventi (2011), Daniele Timpano (2012), Armando Punzo e Archivio Zeta (2014), Case Matte e Puglia Off (2015), Davide Lorenzo Palla e Zona K (2016), NEST Napoli Est Teatro e Mario Gelardi del Nuovo Teatro Sanità (2017), Kepler-452 (2018) e Stefano Tè del Teatro dei Venti (2019).
Alla fine della proiezione, Oliviero Ponte di Pino ha ricordato il collega e Maestro Renato Palazzi, scomparso poche settimane fa.
Ci vediamo il prossimo anno!
Si è concluso lo spoglio dei voti della II fase del Premio Rete Critica. I finalisti della X edizione che si contenderanno il Premio 2021 a Padova il 3 e 4 dicembre sono:
Compagnia del Teatro dell’Argine con il progetto Politico Poetico Kanterstrasse Kepler-452 Residenze Digitali
In attesa della decima candelina del Premio Rete Critica, ripercorriamo l’edizione 9 e 3/4, avvenuta interamente in digitale per arginare le restrizioni contro la pandemia.
La redazione di L’Oca Critica ha redatto tre brevi testi, uno per ogni tavolo tematico: “Teatro e politica”, “Teatro in ascolto” e “Danza e immagine”, per una due giorni di approfondimento tematico, in cui si è stato dato spazio alla parola e alla riflessione a partire dalle esperienze degli ospiti segnalati dalla rete, e arricchiti dalla voce degli esperti chiamati a raccontare il proprio punto di vista sulla situazione attuale.
TAVOLO 1. Teatro e politica – Tiresia e altri hacker | Venerdì 4 dicembre 2020 16.00
di Irene Buselli
Ospite: Giovanni Boccia Artieri Moderatore: Roberta Ferraresi Segnalati dalla Rete: Progetto C.Re.S.Co. | Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea Giorgina Pi / Bluemotion
Kepler 452
Il fatto stesso che l’ospite del tavolo “teatro e politica” sia il professor Boccia Artieri, esperto di comunicazione e media digitali, sottintende già una prima considerazione: nel momento in cui i teatri vengono chiusi, la ricerca di nuovi media per continuare ad andare in scena è di per sé un atto di resistenza e, di conseguenza, un atto politico. A questo postulato si aggiunge, nel corso del tavolo, un corollario solo apparentemente meno intuitivo: la ricerca di nuovi formati può fornire uno sguardo rinnovato su quelli vecchi, e, in particolare, il digitale ha molto da insegnarci sull’analogicissimo binomio teatro-politica.
Le lezioni che, secondo l’analisi di Boccia Artieri, il teatro può apprendere dal digitale sono riconducibili essenzialmente a due termini del gergo informatico: link e hacker.
link a. Collegamento tra un calcolatore e le sue unità periferiche, o, anche, il collegamento tra due o più calcolatori. b. Negli ipertesti e nei siti web, collegamento fra una pagina e un’altra, o fra parti della stessa pagina, realizzato mediante un comando che si attiva posizionando il mouse su una porzione di testo, su un’icona o su un’immagine. (da Vocabolario Treccani)
Essere collegati – o, forse ancor meglio, essere connessi, se riusciamo a non perderci nella marea di significati digitali che questo termine ci spalanca davanti – è un valore per il teatro: lo è nella rivendicazione di tutele e diritti di cui la pandemia ha fatto prepotentemente emergere la necessità, lo è nella relazione con il proprio pubblico, che mai come in questo momento ha la possibilità di esistere senza essere mediata da altri, e lo è nella condivisione di contenuti, nel momento in cui, in assenza di palcoscenici, chi li produce diventa responsabile anche della loro circolazione.
Proprio nella cornice del primo di questi aspetti – ovvero la necessità di un “noi” a comune denominatore delle richieste di riconoscimento di diritti e sostegni per il mondo dello spettacolo dal vivo – si inserisce l’intento di C.Re.S.Co. (Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea), che ha da sempre individuato nella parcellizzazione delle diverse istanze un punto debole del sistema teatrale contemporaneo. Significativo in questo senso l’estratto del manifesto che Elena Lamberti porta all’attenzione del tavolo:
“Siamo convinti che è solo dando vita a un percorso plurale, trasparente e coraggioso che possiamo costruire un progetto e una sensibilità che siano insieme poetici e politici, funzionali alla difesa della nostra dignità lavorativa, al recupero di un ruolo riconosciuto nel contesto sociale in cui operiamo, alla crescita complessiva del nostro settore, ma anche necessari per continuare a creare bellezza e pensiero”. (da Manifesto C.Re.S.Co)
Non è solo l’idea di comunità a stare al centro del lavoro di C.Re.S.Co., ma anche l’attenzione all’eterogeneità di questa comunità: se nei primi mesi di pandemia la distribuzione cosiddetta “a pioggia” di aiuti e indennità fissati a soggetti diversi tra loro poteva rientrare in una logica emergenziale, col passare dei mesi continuare a “fare parti uguali tra disuguali” è stato e sarà sempre meno efficace, oltre che iniquo. L’intervento di Francesca D’Ippolito si concentra infatti su questo punto, evidenziando l’obiettivo di lavorare a una mappatura che indaghi in profondità anche le differenze tra i lavoratori mappati.
hacker: Nel gergo dell’informatica, chi, servendosi delle proprie conoscenze nella tecnica di programmazione degli elaboratori elettronici, penetri abusivamente in una rete di calcolatori per utilizzare dati e informazioni in essa contenuti, per lo più allo scopo di aumentare i gradi di libertà di un sistema chiuso e insegnare ad altri come mantenerlo libero ed efficiente. (da Vocabolario Treccani)
Anche solo leggendo la definizione è immediatamente chiaro quanto il concetto di “hacker” possa sconfinare facilmente dal significato tecnico. Rimanendo però un passo indietro, prima ancora di concentrarci sull’azione dell’hacker l’attenzione andrebbe posta sulla situazione di partenza: “i gradi di libertà di un sistema chiuso”. Se sulle piattaforme online i gradi di libertà del sistema sono di solito regolati da algoritmi, nella realtà essi corrispondono a tutte quelle logiche, più o meno comunemente accettate, che alterano lo stato di naturalità in modo non sempre evidente. Hackerare questi algoritmi, mettendo in luce pratiche alternative e mostrandone i limiti, ha di per sé un forte valore sia artistico che politico.
Si può dire che il tentativo di “mettere un dito nell’algoritmo” appartenga, in modo diverso, a entrambi i lavori che la compagnia Kepler-452 ha portato in scena nell’ultimo anno: Lapsus Urbano // Il primo giorno possibile e Consegne. Nel primo, questo tentativo costituisce in realtà una pratica che il teatro e l’arte in generale hanno sempre utilizzato: partire da delle narrazioni diffuse – in questo caso,ad esempio, il cantare le canzoni dal balcone o il rimando a un passato in cui si era comunità – e problematizzarle, metterle in discussione – davvero esisteva una comunità prima? Cosa succede se il teatro sposta lo sguardo dietro l’impalcatura posticcia di queste narrazioni?
Nel caso di Consegne, invece, l’hacking è molto più marcato e il suo impatto più potente: se i teatri restano chiusi in nome dell’apertura di tutto ciò che garantisce consumi e guadagni, l’attore si traveste da rider e lo spettacolo diventa la consegna stessa, ripresa con delle telecamere e trasmessa in streaming. La denuncia delle distorsioni e delle irrazionalità intrinseche alle norme anti-contagio è insita nel formato, al di là del contenuto dello spettacolo, rendendo il mezzo tutt’altro che un ambiente neutro.
L’ultima opera segnalata dalla Rete – Tiresias, diretta da Giorgina Pi con Gabriele Portoghese – è apparentemente quella più distante dalle “lezioni di digitale” esposte da Boccia Artieri: il formato dello spettacolo è quello più tradizionale, e il riferimento a uno dei personaggi più classici della mitologia suggerirebbe uno scarto netto rispetto alle tematiche citate fin qui; in effetti, l’intervento di Giorgina Pi e Gabriele Portoghese si concentra su argomenti altri rispetto al loro spettacolo. Eppure, tornando per un attimo alla definizione Treccani, quali altri personaggi nella storia reale o letteraria hanno “aumentato i gradi di libertà di un sistema” quanto Tiresia, talmente al di fuori dell’apparente ordine naturale da avere un corpo che vive più sessualità, più età in una vita? Tiresia è una via d’uscita dal sistema, è il tentativo di superamento delle regole sessuali e l’assalto alle gerarchia del tempo: in questo senso, il più plateale hacker della storia. Ed è per questo che portarlo in scena significa – anche – fare politica.
Che Tiresia e Anonymous possano dare al teatro le stesse lezioni forse è una boutade, o forse il miracolo di un’idea che resiste al di là del tempo: mettere in discussione l’ordine è un gesto politico. Farlo insieme, attraverso un ripensamento condiviso, può essere teatro.
TAVOLO 2. Teatro in ascolto – Voci e spettralità | Sabato 5 dicembre 2020 18.00
di Matteo Valentini
Ospite: Rodolfo Sacchettini Moderatore: Viviana Raciti Segnalati dalla Rete: Frosini/Timpano
Radio India Campsirago Residenza
Con Sette concerti per Capodanno, dal 28 dicembre 2020 al 3 gennaio 2021, Radio India è tornata a trasmettere dopo cinque mesi di silenzio, accompagnando i suoi ascoltatori attraverso un passaggio d’anno carico come non mai di rituali apotropaici e di aspettative incerte. All’interno della prima puntata, programmaticamente intitolata “Lettere al futuro”, Riccardo Festa e Matteo Angius hanno regalato un intervento sul tema dello spettro e, in particolare, un breve passaggio sull’essenza dello spettro nell’Amleto di Shakespeare. È l’inizio del primo atto e quattro sentinelle si trovano sugli spalti del castello di Elsinore. Dopo i primi saluti e il cambio della guardia, uno di loro, Orazio, chiede:
What, has this thing appeared again tonight?
Dunque, s’è fatta rivedere… quella cosa? (William Shakespeare, Amleto, Atto I – Scena I)
“Quella cosa” è ovviamente lo spettro del padre di Amleto che di lì a poco farà il suo ingresso in scena. O meglio, rifarà. Festa e Angius sottolineano proprio questo carattere ricorsivo dello spettro: la prima volta che noi spettatori lo vediamo, è in realtà la seconda volta che appare. Nel loro tumultuoso e piratesco intervento, Festa e Angius hanno lanciato questo appunto e sono passati oltre, ad altre prerogative di altri spettri, ma io vorrei fermarmi e iniziare da qui la riflessione sul secondo tavolo del convegno Rete Critica 2020, dedicato al teatro “in ascolto”, ossia a quelle compagnie o gruppi che durante l’ultimo anno hanno considerato l’ascolto come pratica teatrale possibile per ovviare all’assenza dal e del palcoscenico.
“Presenza evanescente di qualcosa che non c’è più”, questa è la concisa ma efficace definizione di spettro suggerita da Festa e Angius. Una presenza che implica e rimanda a un’assenza, che è poi il principio dell’immagine e della rappresentazione in generale. Una presenza che è una traccia e, nel caso del nostro tavolo, una traccia sonora.
Nella sua introduzione al tavolo, Rodolfo Sacchettini ha ricordato un vecchio radiodramma, Gli innamorati dell’impossibile (1952), ambientato a Hiroshima subito dopo lo scoppio della bomba nucleare. I due protagonisti sono le voci di una coppia di innamorati, uniche tracce rimaste dei loro corpi, oltre alle loro ombre (a seguito dell’esplosione, di alcuni corpi rimase effettivamente la traccia “impressa” sull’asfalto o sui muri della città rimasti in piedi). Queste due voci vagano disperate per Hiroshima cercando di capire cosa sia successo, di mettersi in contatto con qualcuno e di riacquistare un corpo. Nel farlo, continuano a parlarsi e, soprattutto, ad ascoltarsi: se smettessero, si perderebbero. Oltre che dall’assenza, dunque, l’immagine spettrale e la traccia sonora sono
caratterizzate dal desiderio: entrambe ci suggeriscono un corpo impossibile da raggiungere nella sua presenza piena ed è in questa parzialità sottolineata e mai risolta una volta per tutte che trova senso il ruolo e lo spazio dello spettatore.
Il desiderio di riempire una distanza è stato il primo tema su cui Viviana Raciti, moderatrice del tavolo, ha chiesto ai partecipanti di confrontarsi.
Con Indifferita, la compagnia Frosini/Timpano ha cercato innanzitutto di coprire la distanza del pubblico dal teatro in quanto evento: dal 4 marzo al 9 maggio, ogni sera alle 21.00 veniva caricato su YouTube lo spettacolo di una delle cinquanta compagnie aderenti al progetto. Nonostante la loro nitidezza e qualità a volte scarsa – spesso si trattava di video “di lavoro” ad uso delle compagnie, non adatti allo streaming –, i video rientravano in un dispositivo rituale, cadenzato, quotidiano, a cui affidare una testimonianza di presenza possibile solo nello sforzo di ascoltare un territorio artistico sfaldato.
Daria Deflorian ha spiegato che anche il desiderio animatore di Radio India, fondata con la chiusura dei teatri, consisteva non tanto nella preparazione di un singolo programma, ma nell’ascolto reciproco, nel dialogo critico all’interno della redazione e nella ricucitura di una comunità teatrale (altro tema messo sul tappeto da Raciti). In questo senso, la ri-presentazione dello spettro implica un processo di riconoscimento: una traccia è tale solo se viene riconosciuta e riportata a un significato possibile, altrimenti resta un segno lasciato nello spazio, in attesa di decrittazione.
Nel lavoro di Campsirago Residenza, invece, la distanza non è intesa come qualcosa da coprire, ma da performare. Le “Favole al telefono” prevedevano una reciprocità tra l’attore che leggeva una favola – al telefono, appunto – e il bambino o la bambina che, una volta ascoltata, avrebbe dovuto scriverne una a sua volta e rimandarla indietro. Si assisteva alla formazione di piccole comunità circolari sempre più numerose, a cui corrispondeva l’allargamento del numero di attori deputati alla lettura, i quali venivano pagati attraverso un’offerta libera data dagli spettatori e dal denaro proveniente dal FUS: un’azione poetica che è diventata anche un’azione politica, come affermano Michele Losi e Anna Fascellini di Campsirago Residenza.
Il terzo e ultimo tema proposto da Raciti riguarda la formazione di un archivio. Se, come abbiamo supposto, lo spettro è una traccia, dovremo seguire Jacques Derrida per collegarlo al concetto di archivio:
La traccia […] è qualcosa che parte da un’origine, ma che subito si separa dall’origine e che resta come traccia nella misura in cui si è separata dal tracciamento […]. È lì che vi è traccia e vi è inizio di archivio. Non ogni traccia è un archivio, ma non vi è archivio senza traccia. (Jacques Derrida, Pensare al non vedere. Scritti sulle arti del visibile (1979-2004))
Se il lavoro di Frosini/Timpano designa l’archivio come prodotto di una selezione discrezionale degli artisti all’interno dello sterminato panorama del teatro italiano contemporaneo, e se l’operazione di Campsirago lo mostra come prodotto relazionale, come accordo tra artista e spettatore – nella veste di produttore di contenuti –, è nella struttura a podcast di Radio India che viene messa effettivamente in crisi l’idea di archivio e, soprattutto, di archivio come luogo di produzione del senso.
Come ha ricordato Sacchettini, la primavera italiana dell’audio, iniziata ormai due anni fa, è definitivamente scoppiata con l’arrivo della pandemia: questo ha significato sia una maggiore maturità autoriale e tecnica dei contenuti caricati sulle piattaforme web, sia una pervasiva diffusione di un modo di ascolto parzialmente sconosciuto fino a poco tempo fa, almeno in Italia, sia la costante formazione di archivi audio. La forma del podcast, come ha suggerito Francesca Corona del Teatro India, ha però in sé la possibilità di “tradire” il palinsesto, di disfare la rigida tassonomia dell’archivio, per costruire piani di percorrenza inediti rispetto a ogni precedente scelta redazionale, in quella che si potrebbe definire “democrazia dell’ascolto”. L’ascoltatore ha infatti il potere di attraversare il podcast a suo piacimento e di interrogare la traccia spettrale che di volta in volta ne fuoriesce, intendendo la sua ri-presentazione su un livello non tanto di riproduzione o di ripetitività, quanto di intensità o di “aumento” e apertura del senso: lo spettro, come l’attore del resto, è una presenza che non rimanda a se stessa, non coincide con i propri limiti, ma rinvia a qualcosa di assente e di infinitamente interpretabile.
TAVOLO 3. Danza e immagine – ovvero metonimie e metafore magiche | Sabato 5 dicembre 2020 18.00
di Massimo Milella
Moderatrice: Laura Gemini Ospite: Roberta Nicolai Segnalati dalla Rete: M.A.D – Balletto Civile Paola Bianchi Teatrino Giullare
Della parola “magia” si sa che i greci, sin dal IV secolo a.C. – forse per diffidenza rispetto a ciò che arrivava dall’est, come ad attestarne un vigile confinamento sociale e linguistico – la conservarono sonoramente intatta rispetto all’originale persiana. Il suono, infatti, per quei contemporanei doveva evocare dottrine zoroastriane, credenze “barbare” rispetto al totalitarismo del razionale in voga nelle cerchie aristoteliche, e in particolare quelle pratiche oscure di lettura di cieli stellati e interpretazione di sogni: di fatto, la “magia” possiede nei suoi geni la natura di traduzione in termini più razionali di linguaggi immateriali, dal divino all’umano, dall’astratto al concreto.
Magico dunque non è ciò che resta sospeso in una realtà inesistente, anzi al contrario è uno strumento per dotare la realtà, altrimenti inconoscibile, di una possibile chiave di manifestazione, alla nostra sensibile portata.
“Non devi fare altro che camminare dritto verso il muro fra i binari 9 e 10. Meglio se vai di corsa se sei nervoso.” (dal film Harry Potter e la pietra filosofale, Chris Columbus, 2010)
Nel primo film della saga di Harry Potter, la scena dell’attraversamento del binario 9 e 3⁄4 è particolarmente significativa. Prima, l’inquadratura è una soggettiva che rivela agli occhi del protagonista e nostri la colonna anonima che divide la platform 9 dalla 10, ovvero il muro insuperabile, la realtà indiscutibile – e indiscussa, al punto da venire ignorata dai viaggiatori circostanti; poi, la macchina da presa si concentra su Harry che si fa coraggio e si lancia, correndo, verso il muro. Ora, una scelta plausibile da parte della macchina da presa sarebbe quella di mostrarci il muro in avvicinamento, fino all’impatto atteso, che sappiamo, non potrà esserci: insomma una soggettiva, ragionevole. Invece, la finezza sta nel seguire Harry quasi frontalmente (e quasi di 3⁄4, in realtà), dando allo spettatore l’impressione di correre all’impazzata all’indietro. Il contatto con il muro è rappresentato da un cambio di luci, un buio che poi restituisce uno scenario illuminato diversamente, e ci ritroviamo tutti, all’improvviso – straniti davvero dall’attraversamento magico, e non storditi dalla finzione del cinema – dall’altra parte.
La descrizione di questa scena è fondamentale per cogliere la ricchezza del viatico magico del terzo tavolo di RC2020, dichiarato in partenza dall’ospite, Roberta Nicolai – che è certamente direttrice artistica di Teatri di Vetro, ma andrebbe soprattutto raccontata come sacerdotessa laica (e “pop”) di pregevoli oscillazioni artistiche, incubatrice di profonde messe in discussione dei processi creativi, poetico e immaginifico riferimento di molta arte che ha attraversato le sue iniziative, tra le quali il festival di Teatri di Vetro non è che la più recente.
E non poteva che essere lei l’unica, nella tre giorni dedicata al Premio Rete Critica, ad accettare la sfida dell’evocazione sottintesa nel titolo di questa edizione del Premio, 9 e 3⁄4, appunto: quella del binario che interrompe – magicamente, s’intende – la progressione tra il 9 e il 10, nella stazione di King’s Cross.
“Una frazione sghemba, perché sghemba è la realtà e sghembandola produce la possibilità di creare un altro mondo.” (Roberta Nicolai sui 3⁄4 eccedenti che numerano l’edizione del Premio RC)
Nicolai, nell’aprire il confronto, fa detonare il riferimento a Harry Potter, evocando distintamente la corsa del protagonista contro l’impossibile ostacolo, carico di tutto il proprio bagaglio, senza esitazioni. Una corsa che scaccia il nervosismo. E la nostra, di spettatori, invece, è una corsa all’indietro, nell’ambigua veste di chi, Euridice all’incontrario, affidandosi totalmente all’attraversatore di muri, lo precede.
Non possono quindi che essere due i termini di riferimento di questo viaggio proposto nell’arcipelago costituito dai progetti di Paola Bianchi, Teatrino Giullare e Balletto Civile: corpo e sconfinamento. Eccoli, magicamente, che compaiono: danza e immagine.
“Si è scatenato l’uragano fuori.” (Enrico Deotti e Giulia Dall’Ongaro, mentre fuori dalla loro finestra il tempo era da cani)
Enrico Deotti e Giulia Dall’Ongaro di Teatrino Giullare sono nel bel mezzo di una tempesta e, benché all’asciutto nel loro appartamento, la nave della loro connessione non può fare miracoli. Il dibattito innescato con loro dalla sociologa Laura Gemini è funestato da crolli improvvisi, silenzi beckettiani, attese di un rientro all’obbligo della diretta, assenza. Ciò che accade è, di fatto, un boicottaggio per cause naturali che rompe il ritmo della narrazione: il Diario dei giorni felici documentava, mutando i riferimenti, un fatto analogo nei primi giorni, nient’affatto lontani, in cui tutti sperimentavano il significato della parola pandemia.
“Il corpo dell’eccezionalmente piccolo” di Teatrino Giullare, come lo ha definito Nicolai, è, nel caso di questo progetto molto elogiato da pubblico e critica, il risultato di un deragliamento, che ha costruito una trincea di feroce e autentica quotidianità tra le parole frantumate, più che estratte, dal dramma beckettiano Giorni felici: stavano lavorando su quel testo, poi è scoppiato l’uragano ed è avvenuto lo sconfinamento. Il lavoro, eseguito tramite microframmenti in stop-motion, articolato con pochi oggetti drammaturgici, tratti dalla realtà domestica dei due artisti e innescato su due pupazzi, è stato poi pubblicato su Instagram, con testa leggera, disinvolta e consapevole.
L’antropologo Levi Strauss, nei suoi rari interventi dedicati al pensiero magico, notò due principali operazioni al riguardo, nelle società a cui dedicò le sue osservazioni: una magica-metaforica e una metonimica. Per giocare con i riferimenti, quella di Teatrino Giullare sarebbe una magia-metafora.
Per accedere alle isole di Paola Bianchi e di Balletto Civile – lontanissime tra loro benché soggette alle stesse condizioni atmosferiche – Nicolai ci offre un ponte, definendo “corpo che crea spazi” quello di Balletto Civile e “corpo testimone” quello di Bianchi: due concezioni diverse della danza, della coreografia, della ricerca. E, tornando a Levi Strauss, due magie-metonimie.
“Era una testimonianza non solo di quello che eravamo, un villaggio distante ma vicino, ma anche del rapporto con il proprio corpo, con la propria arte (un incantesimo, un servire, un liberarsi), parlare anche al teatro.” (Michela Lucenti su M.A.D.)
M.A.D. – Museo Antropologico del Danzatore è esposizione di singoli corpi danzanti in spazi protetti, ovvero “casette”, come le hanno definite Lucenti e Camilli durante l’incontro, costruite ad hoc per la fruizione di un pubblico itinerante, curioso e distanziato. Un’esperienza che ricerca la più ampia accessibilità, quasi in un’ottica di scambio, proponendo un decentramento non della visione, dato che lo sguardo dello spettatore è sempre diretto verso la casetta, bensì della fruizione, perché, come spiega ancora Lucenti, “il pubblico poteva girare come voleva e fare tutto, tutto quello che non si poteva fare, poteva toccare la casetta, farci fotografie”: un dire che allude, forse involontariamente, forse consapevolmente, alla necessità di una nuova regolamentazione della proposta artistica, almeno da parte di questa dinamica compagnia, che in dialettica tra un “prima” e un “dopo” si concentra non tanto su quello che può fare il performer, bensì su ciò che potrà fare il pubblico. E non è un deragliamento da poco.
Di fatto, M.A.D. è un atto di resistenza ma, contemporaneamente, una messa in discussione della propria essenza teatrale, che da un lato ricrea la quarta parete e dall’altro ne sente, drammaticamente, il limite.
“[…] l’estrema somiglianza delle varie posture racchiude in sé un’interessante aderenza oggettiva nel passaggio tra le esperienze dei corpi, un metodo che, eludendo il “corpo del maestro” come modello da imitare, paradossalmente ne acuisce il legame aprendo le porte al “senso” del movimento stesso.” (dal blog di Paola Bianchi, a proposito di Archivi di posture)
Manipolare gli spazi, crearli, non è invece prioritaria esigenza nel territorio artistico di Paola Bianchi, approdata a ELP attraverso un percorso personale stratificato, onesto, che pare basarsi su un concetto al tempo stesso metodologico, formale e pratico: la sottrazione della coreografia. Il racconto che Paola Bianchi fa del proprio lavoro si intreccia ipnoticamente con l’immagine di lei, seduta su una poltroncina in una platea, a figura intera, evitando così ogni cesura forzata dall’inquadratura della conversazione virtuale. Bianchi tenta di sintetizzare l’ipertrofica costellazione di ELP a partire dallo svelamento dell’acrostico nelle parole magiche Ethos Logos Pathos: la prima incarna il modo di essere degli interpreti, la seconda riferisce della necessità di raccogliere e restituire la prima, la terza è “la parte fondamentale del lavoro scenico”. C’è in queste parole la generosa descrizione di più di un anno di lavoro, di moduli componibili e atti performativi di varia durata, poi sfociati in quello che è stato davvero il cuore di ciò che Rete Critica ha voluto premiare, Archivi di posture.
Archivi di posture è definito, sul blog dell’artista, come un “dispositivo digitale nato in emergenza”: suona come un meccanismo simile a un segnale d’allarme, l’attivazione automatica di un’intelligenza artificiale a scopi di salvataggio, di assistenza, di protezione. Così l’esigenza, già ampiamente prevista in ELP, di “eludere il corpo del maestro come modello da imitare”, diventa immediata: sono le posture di 150 professionisti della danza a riempire di corpo e concretezza le descrizioni verbali di Bianchi, trasmesse solo via audio e inviate una ogni tre giorni.
Colpisce di Bianchi la piena capacità di raccontare ciò che fa, attraverso gli interventi come quello ascoltato durante RC2020, ma anche negli scritti che corredano e accompagnano i suoi lavori. Puntuali, cristallini, rispettosi di una lettura nitida e trasparente, offrono la cifra più eloquente della sua presenza/assenza, che sempre evoca la forza più singolare del suo “corpo testimone”: la restituzione della comunità a cui appartiene, attraverso un archivio di posture ma soprattutto attraverso l’accettazione della sua complessità.
Mentre Gemini tenta generosamente di far dialogare le istanze di Balletto Civile e Paola Bianchi, in sana e robusta dialettica tra loro, si fa largo l’impressione di un tavolo davvero diverso dai due che lo hanno preceduto, forse per l’eterogenea tessitura delle tre poetiche, forse per l’inafferrabile natura dello sconfinamento dal corpo all’immagine. Forse, per l’uragano che ha avuto la meglio sugli uomini e non sui loro tentativi.
Levi Strauss ci dice che per l’antica popolazione dei Nambikwara lo sciamano è anche chiamato “ndàre”, ovvero “tuono”. Tuono perché incarna il rapporto tra la sua comunità e questo terribile fenomeno acustico figlio di una scarica elettrica nel cielo; perché legge il cielo, e lo racconta a chi sta sulla terra. Perché attraversa di corsa il muro di un binario che non esiste e noi, di spalle, ci fidiamo.
E, con un cambio di luci, siamo dall’altra parte anche noi.
Dopo la versione digitale del 2020, Rete Critica torna al Teatro Stabile del Veneto, il 3 e 4 dicembre 2021, per festeggiare la X edizione. Dal 2011 Rete Critica, la rete dei blog e siti web indipendenti di informazione e critica teatrale, segnala l’avanguardia della scena teatrale italiana. In questi ultimi anni di incertezza la Rete si è interrogata sul proprio ruolo, iniziando una mappatura dei progetti che abbiano saputo rappresentare e incarnare il cambiamento che stiamo vivendo, guardando verso il futuro per superare una fase difficile per il settore culturale. Torna quindi il Premio, in una versione nuova e condensata in due giornate, in cui i protagonisti più votati dalla Rete si presenteranno al pubblico padovano presentando i loro lavori più significativi e innovativi, con particolare attenzione a progetti e percorsi che abbiano messo al centro la ricostruzione di una comunità culturale, sociale e teatrale in un tempo in cui le relazioni sono state messe a dura prova.
In occasione della decima edizione del Premio Rete Critica verrà proiettato, per la prima volta “in presenza” lo short doc sulle prime dieci edizioni, a cura di Simone Pacini, scritto e diretto da Andrea Esposito. Sarà un’occasione per ripercorrere la storia e l’origine del premio fin dalla sua prima edizione attraverso le immagini e le testimonianze dei vincitori e di coloro che hanno animato questo appuntamento.
A questo link le segnalazioni e le motivazioni pervenute dalle testate per la prima fase.